LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO SI CONFIGURA COME OBBLIGAZIONE DI MEZZI E NON DI RISULTATO. PERTANTO OCCORRE PROVARE IL NESSO EZIOLOGICO TRA LA CONDOTTA DEL LEGALE E IL DANNO DERIVATO AL CLIENTE. (Cass. Civ., sent. 26.05./ 22.07.2014 n. 16690) di Sabrina Saba, sede di Cagliari-Lanusei

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Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha ribadito che la responsabilità professionale dell’avvocato configura un’obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza per il quale si applica il criterio della diligenza professionale media esigibile ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata. Ne consegue che la responsabilità dell’avvocato non potrebbe sussistere per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, ma è necessario verificare: “se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone”. Nella fattispecie i Giudici di Legittimità dopo aver esaminato la strategia processuale seguita dall’avvocato in favore del suo cliente, sulla scelta del rito e la condotta processuale seguita, hanno ritenuto tale condotta conforme a diligenza e prudenza e contestualmente hanno rilevato la totale carenza di prova del danno che si riteneva subito come conseguenza della condotta del legale.