MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: LA VIA DEL DIALOGO PER PORRE FINE ALLA BARBARIE E RISPETTARE I DIRITTI FONDAMENTALI

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Le mutilazioni genitali femminili costituiscono un rito antico, volto al controllo totale delle donne. Due sono le pratiche più diffuse: l’escissione della clitoride e l’infibulazione. Nel primo caso alle infanti viene escissa la clitoride, l’organo femminile del piacere sessuale, per rendere le donne meri animali da riproduzione, senza sensualità e soddisfazione sessuale. Nel secondo alle bambine è cucito l’organo sessuale, violato poi soltanto nel corso della prima notte di nozze, da un marito che riterrà suo diritto tale violazione, compiendola con il piacere sadico di chi, in questo modo, pone la propria potenza virile a presidio della proprietà del corpo femminile.

Non vi è alcuna giustificazione culturale che possa legittimare tali azioni. Queste ultime minano la salute fisica e psichica e sono anche spesso svolte da personale non qualificato in condizioni igieniche precarie. Per tali ragioni non è raro che portino a gravi complicanze quando non alla morte delle giovani vittime. Le donne sottoposte a queste barbarie sono milioni (le stime variano da 125 a 200), secondo l’Unicef circa 3 milioni e mezzo ogni anno, cioè quasi 10.000 al giorno.

Questi riti sono concentrati in almeno 29 Paesi africani, in alcuni della fascia araba e del Sud-Est asiatico, ma sono comuni anche in America Latina. In Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda sono ancora diffusi tra le popolazioni immigrate, minoranze etniche all’interno delle quali tali pratiche diventano anche motivo di identità culturale e si nutrono della marginalizzazione di cui tali minoranze possono essere vittime, in un circuito perverso che si autoalimenta. In Italia si stimano dai 25.000 ai 35.000 casi.

Oggi si celebra la Giornata internazionale della tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2012.

La tutela delle vittime esige che ci si interroghi sulle migliori modalità di approccio con tali culture – afferma la Presidente di Cammino, Maria Giovanna Ruo non sono sufficienti divieti e sanzioni, certo assolutamente necessari, ma che possono essere avvertiti da coloro che applicano tali pratiche come violazione della propria identità culturale. Essenziale è che ciò sia accompagnato da un percorso di consapevolizzazione della necessità di rispettare i diritti fondamentali di questi soggetti vulnerabili, bambine vittime dei loro stessi genitori, di coloro che dovrebbero proteggerle e che invece le seviziano in ragione di un primordiale concetto di femminilità che non ha cittadinanza nella civiltà contemporanea.

 

Eugenio Russo
Ufficio Stampa Nazionale
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