Roma 22.05.2025— La Corte Costituzionale ha compiuto un ulteriore passo in avanti rispetto al tema dell’unicità dello status di figlio, proseguendo l’opera di adeguamento ai principi costituzionali della legge n. 40/2004.
Con la sentenza odierna, infatti, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8 della legge n. 40/2004 nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che -nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa- ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita, possa ottenere il riconoscimento dello status di figlio anche da parte della madre di intenzione, con correlata assunzione di responsabilità genitoriale.
Il contesto e le questioni sollevate.
Il Tribunale di Lucca aveva sollevato questione di legittimità costituzionale riguardante la legge 19 febbraio 2004, n. 40 e l’articolo 250 del codice civile. L’art. 8 letto in combinato disposto con l’art. 9 della predetta legge vieta la possibilità, in caso di PMA eseguita legittimamente all’estero, per la madre c.d. “intenzionale” (vale a dire la madre non biologica che abbia prestato un valido consenso alla procreazione eterologa) di riconoscere il figlio nato in Italia.
Secondo il ricorrente ciò si porrebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 30 e 117 della Costituzione, nonché con le Convenzioni internazionali sui diritti dei minori (CEDU, CDFUE, ONU).
Le conclusioni della Corte Costituzionale .
Il Giudice delle leggi ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale, pur delimitando la pronuncia esclusivamente ai casi di PMA eterologa eseguita legittimamente all’esterno da una coppia di madri omosessuali qualora il figlio nasca in Italia (atteso che, in caso di nascita all’estero, le S.U. del 2016 avevano già ritenuto direttamente riconoscibile nel nostro ordinamento il provvedimento straniero attestante il rapporto di filiazione con la madre di intenzione, non costituendo il divieto di PMA eterologa tra soggetti dello stesso sesso un principio di ordine pubblico internazionale).
Rimangono, invece, escluse le ipotesi di procreazione medicalmente assistista illegittimamente realizzate in Italia nonché quelli di “maternità surrogata”.
La Corte ha, infatti, ritenuto che il predetto divieto si ponga in contrasto con il “best interest of child” (il quale è stato ritenuto di primaria rilevanza sia dalla giurisprudenza costituzionale che da quella di legittimità, pur senza assurgere a “diritto tiranno”) e che generi una irragionevole disparità di trattamento delle coppie omosessuali rispetto alle coppie eterosessuali. In particolare, si è sostenuto che l’orientamento sessuale di per sé non giustifichi siffatta disparità in punto di capacità genitoriale, atteso che “non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali» (sentenza n. 32 del 2021), né «incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale» (sentenza n. 33 del 2021). Un’inidoneità genitoriale, in sé, della coppia omossessuale è stata costantemente esclusa da questa Corte che, in linea anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962), ha già avuto occasione di affermare che «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenze n. 32 del 2021 e n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022 e n. 230 del 2020).”
La Consulta si è poi soffermata sulla idoneità dello strumento della c.d. “adozione in casi particolari” ex art. 44 lett. d della L. 184/1983 da parte del partner del genitore biologico a compensare il predetto vulnus di tutela.
In maniera condivisibile, tale soluzione è stata ritenuta non percorribile atteso che l’adozione in casi particolare sarebbe strutturalmente inadeguata a garantire al figlio un’immediata tutela nonché la certezza della propria identità personale. Difatti, pur con i correttivi ai quali la giurisprudenza ha nel tempo fatto ricorso, in tali casi “l’acquisizione dello status di figlio è fisiologicamente subordinata all’iniziativa dell’aspirante adottante e allo svolgimento di un procedimento, caratterizzato da costi, tempi e alea propri di tutti i procedimenti. Inoltre, e soprattutto, l’eventuale esito positivo del procedimento non può che spiegare effetto dal suo perfezionamento.”
Da ultimo, il Giudice delle leggi ha posto l’accento sulla rilevanza del consenso prestato da entrambi i partner della coppia, il quale è ritenuto idoneo a produrre un impegno comune dal quale, una volta assunto, nessuno dei due potrà sottrarsi.
Alla luce di ciò la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40/2004, stabilendo che il riconoscimento dello stato di figlio deve essere automatico e immediato al momento della nascita per i minori nati da PMA, garantendo così i diritti di entrambe le madri, il rispetto della volontà del progetto genitoriale condiviso e la possibilità anche per il figlio e per il partner biologico di attivare il riconoscimento.
Considerazioni a margine
Questa pronuncia rappresenta un doveroso passo in avanti nell’ottica di un vero e generale riconoscimento del principio di unicità dello status di figlio, in coerenza con quanto stabilito dalla sentenza n. 494 del 2002 dichiarativa dell’incostituzionalità del divieto di riconoscimento dei figli frutto di incesto.
È stato ancora una volta ribadito il principio fondamentale della centralità della valutazione del “miglior interesse per il minore” oltre che l’importanza dello status filiationis quale «elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione».
Da ultimo, va sottolineato come tale declaratoria di incostituzionalità si inserisce anche all’interno di un percorso volto a riconoscere una vera uguaglianza tra coppie omosessuali ed eterosessuali, nel solco anche delle più recenti pronunce in tema di adozione.
In conclusione, si ritiene doveroso evidenziare come, pur nella soddisfazione della nostra associazione per tali rilevanti interpretazioni costituzionali, sarebbe comunque auspicabile un intervento legislativo sulla materia in modo da garantire una migliore coerenza del sistema, così come, peraltro, in più occasioni richiesto anche dalla Consulta.
Il Presidente di CAMMINO
Avv. Donatella Nucera
pronuncia sentenza C.C. n.68_del 22 05 2025